CONTE SOGNA IL QUIRINALE, MA STA INIZIANDO LA LUNA DI FIELE
Antonio Socci
Sa Defenza
Se davvero con Giuseppe Conte l’Italia sarà sbattuta fuori dal G7, come ipotizzano certe indiscrezioni di stampa, sarà una catastrofe e non solo d’immagine. Il nome di Giuseppi resterà per sempre legato a questo declassamento storico.
Tuttavia, anche senza un tale schianto, nessuno – pure a sinistra – ritiene che questo premier e il suo governo siano in grado di gestire la crisi economica e sociale che si prospetta in Italia e tanto meno la ricostruzione del Paese.
Il richiamo alla “mancata concretezza” che è arrivato agli “Stati generali”contiani, in modi diversi, dal governatore Visco e dal presidente Mattarella, è un segnale chiaro e si può tradurre così: sapete fare solo spot e propaganda.
Il Conte che sbandiera un sondaggio per lui trionfale come quello di Nando Pagnoncelli, secondo cui un suo partito sarebbe al 14 per cento (a spese di Pd e M5S) e una sua leadership napoleonica del M5S lo riporterebbe a essere primo partito (a spese di tutti, compresi Di Maio e Di Battista e soprattutto a spese dell’Italia) non rafforza la sua poltrona, ma anzi la rende ancora più traballante.
La sua ricerca ossessiva della ribalta, com’è appunto la parata narcisistica di Villa Pamphilj, per accumulare benefici d’immagine, popolarità e consensi sulla sua persona, a scapito degli alleati e a scapito di un’incisiva azione di governo, non può che allarmare i partiti della sua coalizione che si ritrovano a fare i donatori di sangue al suo progetto imperiale e a pagare lo scotto di un governo indeciso a tutto, che fa solo spot.
Naturalmente certi sondaggi vanno presi con le molle, soprattutto considerato l’altissimo numero di indecisi e astensionisti (quasi il 45 per cento). Del resto tutti ricordano i sondaggi trionfali che circolavano sul partito di Fini prima e su quello di Monti poi. Sappiamo come finirono.
L’alta popolarità del premier, specialmente nella fase dell’emergenza, è del tutto fisiologica e non si traduce poi in voti. La ebbe, ad esempio, anche il presidente francese Hollande quando si verificarono gli attentati islamisti in Francia (nei momenti di paura e tensione, la gente tende a stringersi attorno alla bandiera, alle istituzioni). Subito dopo lo stesso Hollande precipitò ai bassi livelli di consenso precedenti.
I fischi toccati a Conte, in piazza Colonna, giorni fa, sono il chiaro segno che, finita la paura collettiva, sta arrivando la rabbia. E infatti l’indice di gradimento degli ultimi tempi è in discesa.
Ma il fatto che Conte continui a recitare la parte dell’uomo solo al comando e che visibilmente “ci creda”, aumentando il suo protagonismo egocentrico, giocandosi la carta napoleonica, non può che allarmare il Pd e i leader grillini.
Come contro Salvini scattò, l’estate scorsa, un’alleanza di tutti-contro-uno per impedirgli di capitalizzare i consensi delle europee (e dei sondaggi) nelle elezioni politiche anticipate (e lo stesso era capitato prima a Renzi), anche stavolta si prospetta una convenienza generale a ridimensionare Conte. Defenestrandolo.
Una delle voci che circolano riguarda un possibile governo Franceschini con Di Maio vicepremier unico (e magari Conte piazzato alla Farnesina come contentino, per farlo comunque sparire dalla ribalta). Ovviamente sarebbe un’altra sciagura: l’Italia avrebbe oggi bisogno di tutt’altro.
Ci vuole un governo fatto di persone molto autorevoli e competenti, che rappresenti davvero il Paese, nella sua maggioranza. Ma è difficile che il Pd (con i suoi soci di coalizione) anteponga l’interesse generale al suo monopolio delle poltrone.
In ogni caso che l’aria, per Conte, nei palazzi del potere sia cambiata e si sia fatta avvelenata, è certo. Lo si può constatare anche dalla stampa che fino a poco fa tesseva le sue lodi. Basta scorrere gli articoli sugli “Stati generali” di due delle firme principali di “Corriere della sera” e “Repubblica” per rendersene conto.
Antonio Polito, vicedirettore del “Corriere”, ricorda che questo “premier per caso”, secondo alcuni, punterebbe addirittura al Quirinale e osserva che “una leggera megalomania, una folie de grandeur sembra essersi impadronita dell’ex avvocato del popolo”. Del resto l’idea degli “Stati Generali” evoca “un sospetto di sovranità, anche se in realtà molto sfortunata, perché l’esito della manovra politica di Luigi XVI per risolvere la grande emergenza del suo regno fu così orribile da restare proverbiale”.
Secondo alcuni vuole somigliare al Re sole, ma, dice perfidamente Polito, Conte rischia di somigliare piuttosto a un altro Borbone: Franceschiello.
Su “Repubblica” poi Francesco Merlo demolisce il premier addirittura con spietatezza, parlando di “autocelebrazione davvero imbarazzante” e ritirando fuori perfino il tema del curriculum su cui veniva bersagliato al tempo del governo gialloverde. Impressionante leggere una così pesante stroncatura di Conte su “Repubblica”.
Sic transit gloria mundi. Come si vede, sulla stampa Giuseppi non è più celebrato come Re Sole e ora deve sudare sette camicie per non essere trattato come re sòla dai suoi stessi, irritati, alleati di governo.
Forse una decisa mossa del cavallo come le dimissioni – per entrare nella riserva della repubblica – converrebbe anche a lui, per giocarsi la sua carta istituzionale se davvero ambisce al Quirinale.
da “Libero”, 15 giugno 2020
Sa Defenza
Se davvero con Giuseppe Conte l’Italia sarà sbattuta fuori dal G7, come ipotizzano certe indiscrezioni di stampa, sarà una catastrofe e non solo d’immagine. Il nome di Giuseppi resterà per sempre legato a questo declassamento storico.
Tuttavia, anche senza un tale schianto, nessuno – pure a sinistra – ritiene che questo premier e il suo governo siano in grado di gestire la crisi economica e sociale che si prospetta in Italia e tanto meno la ricostruzione del Paese.
Il richiamo alla “mancata concretezza” che è arrivato agli “Stati generali”contiani, in modi diversi, dal governatore Visco e dal presidente Mattarella, è un segnale chiaro e si può tradurre così: sapete fare solo spot e propaganda.
Il Conte che sbandiera un sondaggio per lui trionfale come quello di Nando Pagnoncelli, secondo cui un suo partito sarebbe al 14 per cento (a spese di Pd e M5S) e una sua leadership napoleonica del M5S lo riporterebbe a essere primo partito (a spese di tutti, compresi Di Maio e Di Battista e soprattutto a spese dell’Italia) non rafforza la sua poltrona, ma anzi la rende ancora più traballante.
La sua ricerca ossessiva della ribalta, com’è appunto la parata narcisistica di Villa Pamphilj, per accumulare benefici d’immagine, popolarità e consensi sulla sua persona, a scapito degli alleati e a scapito di un’incisiva azione di governo, non può che allarmare i partiti della sua coalizione che si ritrovano a fare i donatori di sangue al suo progetto imperiale e a pagare lo scotto di un governo indeciso a tutto, che fa solo spot.
Naturalmente certi sondaggi vanno presi con le molle, soprattutto considerato l’altissimo numero di indecisi e astensionisti (quasi il 45 per cento). Del resto tutti ricordano i sondaggi trionfali che circolavano sul partito di Fini prima e su quello di Monti poi. Sappiamo come finirono.
L’alta popolarità del premier, specialmente nella fase dell’emergenza, è del tutto fisiologica e non si traduce poi in voti. La ebbe, ad esempio, anche il presidente francese Hollande quando si verificarono gli attentati islamisti in Francia (nei momenti di paura e tensione, la gente tende a stringersi attorno alla bandiera, alle istituzioni). Subito dopo lo stesso Hollande precipitò ai bassi livelli di consenso precedenti.
I fischi toccati a Conte, in piazza Colonna, giorni fa, sono il chiaro segno che, finita la paura collettiva, sta arrivando la rabbia. E infatti l’indice di gradimento degli ultimi tempi è in discesa.
Ma il fatto che Conte continui a recitare la parte dell’uomo solo al comando e che visibilmente “ci creda”, aumentando il suo protagonismo egocentrico, giocandosi la carta napoleonica, non può che allarmare il Pd e i leader grillini.
Come contro Salvini scattò, l’estate scorsa, un’alleanza di tutti-contro-uno per impedirgli di capitalizzare i consensi delle europee (e dei sondaggi) nelle elezioni politiche anticipate (e lo stesso era capitato prima a Renzi), anche stavolta si prospetta una convenienza generale a ridimensionare Conte. Defenestrandolo.
Una delle voci che circolano riguarda un possibile governo Franceschini con Di Maio vicepremier unico (e magari Conte piazzato alla Farnesina come contentino, per farlo comunque sparire dalla ribalta). Ovviamente sarebbe un’altra sciagura: l’Italia avrebbe oggi bisogno di tutt’altro.
Ci vuole un governo fatto di persone molto autorevoli e competenti, che rappresenti davvero il Paese, nella sua maggioranza. Ma è difficile che il Pd (con i suoi soci di coalizione) anteponga l’interesse generale al suo monopolio delle poltrone.
In ogni caso che l’aria, per Conte, nei palazzi del potere sia cambiata e si sia fatta avvelenata, è certo. Lo si può constatare anche dalla stampa che fino a poco fa tesseva le sue lodi. Basta scorrere gli articoli sugli “Stati generali” di due delle firme principali di “Corriere della sera” e “Repubblica” per rendersene conto.
Antonio Polito, vicedirettore del “Corriere”, ricorda che questo “premier per caso”, secondo alcuni, punterebbe addirittura al Quirinale e osserva che “una leggera megalomania, una folie de grandeur sembra essersi impadronita dell’ex avvocato del popolo”. Del resto l’idea degli “Stati Generali” evoca “un sospetto di sovranità, anche se in realtà molto sfortunata, perché l’esito della manovra politica di Luigi XVI per risolvere la grande emergenza del suo regno fu così orribile da restare proverbiale”.
Secondo alcuni vuole somigliare al Re sole, ma, dice perfidamente Polito, Conte rischia di somigliare piuttosto a un altro Borbone: Franceschiello.
Su “Repubblica” poi Francesco Merlo demolisce il premier addirittura con spietatezza, parlando di “autocelebrazione davvero imbarazzante” e ritirando fuori perfino il tema del curriculum su cui veniva bersagliato al tempo del governo gialloverde. Impressionante leggere una così pesante stroncatura di Conte su “Repubblica”.
Sic transit gloria mundi. Come si vede, sulla stampa Giuseppi non è più celebrato come Re Sole e ora deve sudare sette camicie per non essere trattato come re sòla dai suoi stessi, irritati, alleati di governo.
Forse una decisa mossa del cavallo come le dimissioni – per entrare nella riserva della repubblica – converrebbe anche a lui, per giocarsi la sua carta istituzionale se davvero ambisce al Quirinale.
da “Libero”, 15 giugno 2020
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