TUTTO QUELLO CHE CREDI DI SAPERE SULL’ECONOMIA E’ FALSO!
Claudio Barnabè
scenarieconomici
Dopo anni di martellante disinformazione, è normale che una persona si convinca della veridicità delle tesi proposte in tutti i media, anche quelle più strampalate.
Affinché ci sia produzione e consumo, occorre che ci sia un mercato in cui i beni e i servizi vengano scambiati. Questo implica che ci deve essere l’offerta di beni e servizi, ma anche la domanda degli stessi beni e servizi.
Detto questo, vediamo uno degli aspetti più importati della macroeconomia: il PIL, cioè la somma del valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno di un Paese in un determinato periodo di tempo (solitamente un anno).
Da questa definizione si comprende che il PIL non è la somma di tutta la produzione, ma solo dei beni (e servizi) finali.
Per dovere di cronaca, facciamo il classico esempio: si supponga che in un’economia esistano due sole imprese: la prima produce farina (mugnaio) per un valore complessivo di 50 € e la seconda (fornaio) produce pane per un valore di 100 €, impiegando farina per un valore di 10 €.
Il PIL può essere visto da altri punti di vista: ad esempio come somma dei redditi, infatti il reddito del mugnaio è pari a 50 €, il reddito del fornaio è 100 € – 10 € = 90 € (dieci euro deve darli al fornaio per comprare la farina) e la somma fa 50 € + 90 € = 140 €. I conti tornano!!!
Ma se il PIL è la somma dei redditi, le riforme strutturali, volte appunto a ridurre i redditi, non posso fare aumentare il PIL!!!Sembra lapalissiano, ma per molti non lo è: riducendo una cosa, questa diminuisce (ma va?!?), NON AUMENTA!! Ergo riducendo i redditi, il PIL DIMINUISCE!!! Aumentando i redditi, il PIL aumenta.
Introducendo un altro concetto apparentemente elementare, si perviene ad una scoperta sensazionale: la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro (infatti il PIL, oltre ad essere pari alla somma dei redditi, può essere visto come somma della spese effettuate per l’acquisto di beni e servizi finali).
C’è un’eccezione a questa regola: poiché non esiste un solo Paese al mondo ed esistono gli scambi commerciali, si può praticare la cosiddetta politica del “beggar thy neighbor”, meglio nota col nome di “fotti il tuo vicino”.
Arriviamo all’ultima puntualizzazione: gli imprenditori lavorano per guadagnare! Sembra incredibile, ma a sentire i giornali, telegiornali, politici (o politicanti), talk show ecc. sembra che esista una particolare categoria di imprenditori costituita da mecenati: gli imprenditori esteri.
Ora avete l’armamentario minimo per capire che stanno cercando in tutti i modi di impoverirci e di indebitarci, sta a voi credere o meno che lo facciano per il nostro bene.
Claudio Barnabè
scenarieconomici
Dopo anni di martellante disinformazione, è normale che una persona si convinca della veridicità delle tesi proposte in tutti i media, anche quelle più strampalate.
Per fare un po’ di chiarezza in questo “mare magnum” di falsità, ho deciso di mettere giù alcuni brevi concetti economici che sembreranno sconvolgenti per gli utenti di Ballarò (tanto per fare un esempio), mentre per chiunque abbia letto e capito un qualunque manuale di macroeconomia (quindi i bocconiani sono esclusi) saranno concetti già noti.
Innanzitutto occorre capire che la scienza economica, quel ramo delle scienze sociali che si dedica allo studio della produzione e del consumo di beni e servizi, è una scienza e come tale è una RAPPRESENTAZIONE della realtà, ma NON E’ LA REALTA’.
Innanzitutto occorre capire che la scienza economica, quel ramo delle scienze sociali che si dedica allo studio della produzione e del consumo di beni e servizi, è una scienza e come tale è una RAPPRESENTAZIONE della realtà, ma NON E’ LA REALTA’.
Questo vuole dire che non esiste LA macroeconomia, ma esistono LE macroeconomie, cioè tante macroeconomie quante sono le possibili approssimazioni che possiamo dare della realtà.
Sul piano matematico e filosofico tutte le macroeconomie hanno pari “dignità”, così come tutti i numeri hanno pari dignità (numeri naturali, numeri reali, numeri complessi ecc.), ma questo non vuole dire che tutte le macroeconomie siano approssimazioni della realtà equivalenti dal punto di vista econometrico.
Alcune descrivono la realtà in maniera sufficientemente precisa, altre sono in totale opposizione.
Affinché ci sia produzione e consumo, occorre che ci sia un mercato in cui i beni e i servizi vengano scambiati. Questo implica che ci deve essere l’offerta di beni e servizi, ma anche la domanda degli stessi beni e servizi.
Se siete nel deserto del Sahara e desiderate 10 ghiaccioli al limone (domanda), potete essere certi che non troverete nessuno in grado di venderveli (offerta), pertanto avremo crisi sul lato dell’offerta.
Di converso, se la gente fosse costretta a lavorare gratis, ci sarebbe chi è disposto a vendere (offerta), ma nessuno avrebbe soldi per comprare (domanda). In questo caso si avrebbe crisi di domanda.
Detto questo, vediamo uno degli aspetti più importati della macroeconomia: il PIL, cioè la somma del valore di tutti i beni e servizi finali prodotti all’interno di un Paese in un determinato periodo di tempo (solitamente un anno).
Da questa definizione si comprende che il PIL non è la somma di tutta la produzione, ma solo dei beni (e servizi) finali.
Per dovere di cronaca, facciamo il classico esempio: si supponga che in un’economia esistano due sole imprese: la prima produce farina (mugnaio) per un valore complessivo di 50 € e la seconda (fornaio) produce pane per un valore di 100 €, impiegando farina per un valore di 10 €.
La produzione complessiva è 50 € + 100 € = 150 €, ma il PIL è solamente (50 € – 10 €) + 100 € = 140 € poiché 10 € di farina vengono utilizzati per fare il pane e quindi la farina è una bene intermedio, non un bene finale.
E se non vendesse tutti i 100 € di pane? Il PIL non cambierebbe, si avrebbe solo un investimento in scorte (come è successo da noi per il 2015 in cui gran parte del PIL è dovuto alle scorte della FCA), ma il PIL non varierebbe.
Possiamo allora produrre al massimo delle nostre potenzialità, fregandocene della vendita, come implicitamente sostengono gli “offertisti”? NO!!!!!!
Perché se produci e non vendi, FALLISCI!!!
Il PIL può essere visto da altri punti di vista: ad esempio come somma dei redditi, infatti il reddito del mugnaio è pari a 50 €, il reddito del fornaio è 100 € – 10 € = 90 € (dieci euro deve darli al fornaio per comprare la farina) e la somma fa 50 € + 90 € = 140 €. I conti tornano!!!
Ma se il PIL è la somma dei redditi, le riforme strutturali, volte appunto a ridurre i redditi, non posso fare aumentare il PIL!!!Sembra lapalissiano, ma per molti non lo è: riducendo una cosa, questa diminuisce (ma va?!?), NON AUMENTA!! Ergo riducendo i redditi, il PIL DIMINUISCE!!! Aumentando i redditi, il PIL aumenta.
Introducendo un altro concetto apparentemente elementare, si perviene ad una scoperta sensazionale: la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro (infatti il PIL, oltre ad essere pari alla somma dei redditi, può essere visto come somma della spese effettuate per l’acquisto di beni e servizi finali).
Chiunque spenda elargisce dei soldi che costituiscono un reddito per chi li riceve.
E quando dico chiunque, intendo proprio chiunque, infatti la spesa effettuata dalle persone fisiche si chiama consumi, la spesa effettuata dalle persone giuridiche (imprese) si chiama investimenti e la spesa effettuata dallo Stato si chiama spesa pubblica. Quando lo Stato spende, crea reddito per qualcuno e quel reddito concorre ad aumentare il PIL.
Quando lo Stato riduce la spesa, riduce il reddito di qualcuno e quel mancato reddito concorre a diminuire il PIL. Quindi la spesa dello Stato è il reddito del cittadino (o dell’impresa).
In termini più appropriati si dice che il saldo negativo del settore statale, in un’economia chiusa, è esattamente pari al saldo positivo del settore privato.
C’è un’eccezione a questa regola: poiché non esiste un solo Paese al mondo ed esistono gli scambi commerciali, si può praticare la cosiddetta politica del “beggar thy neighbor”, meglio nota col nome di “fotti il tuo vicino”.
In pratica puoi ridurre la spesa pubblica e perfino fare le riforme strutturali a patto che ci sia un qualcosa (ad esempio un aggancio monetario o altro) che renda convenienti i tuoi prodotti. In questo modo la spesa degli altri Paesi per l’acquisto dei tuoi prodotti (questo tipo di spesa si chiama esportazioni) è reddito per te.
Se la bilancia commerciale è (molto) in attivo, cioè se le esportazioni sono maggiori delle importazioni, il reddito che proviene dagli acquisti fatti dai Paesi esteri può compensare o addirittura essere superiore alla riduzione del reddito derivante dai tagli alla spesa pubblica e dalle riforme strutturali.
In questo modo il tuo Paese si arricchisce in termini monetari (ma si impoverisce in termini di beni reali), mentre i Paesi vicini si impoveriscono in termini monetari (ma si arricchiscono in termini di beni reali). L’esempio più eclatante di questa politica predatoria è l’eurozona ed in particolare la Germania.
Ma è un modello economico vincente e quindi da imporre agli altri? Nel breve-medio periodo può anche essere vincente, ma nel lungo periodo no perché è matematicamente impossibile che tutti siano esportatori netti (cioè che tutti vendano più di quanto acquistano).
Per la solita legge che la spesa di qualcuno è il reddito di qualcun altro, se ci sono gli esportatori netti, per forza ci devono essere anche gli importatori netti, altrimenti chi compra?
Arriviamo all’ultima puntualizzazione: gli imprenditori lavorano per guadagnare! Sembra incredibile, ma a sentire i giornali, telegiornali, politici (o politicanti), talk show ecc. sembra che esista una particolare categoria di imprenditori costituita da mecenati: gli imprenditori esteri.
Cosa vuole dire?
Che se le nostre imprese divenissero attrattive, come sognano i nostri politicanti, avremmo degli imprenditori stranieri che investono nelle nostre imprese. Poniamo che investano 100 €. Per il principio in base al quale gli imprenditori vogliono guadagnare, vuole dire che se nel nostro Paese entrano 100 €, ne devono uscire di più (altrimenti l’imprenditore non guadagnerebbe), poniamo 105 €.
Quei 5 € di differenza sono debito privato che va a peggiorare la nostra bilancia dei pagamenti. Per chi non lo sapesse, è bene precisare che la crisi dell’eurozona deriva da un eccesso di debito privato, non di debito pubblico, come confermato dal vice-presidente della BCE Vítor Constâncio e come i dati confermano. In pratica quando dicono che le nostre imprese devono attrarre più capitali stranieri stanno dicendo che non abbiamo abbastanza debiti con l’estero.
Adesso è più chiaro?
Chissà perché per i nostri politicanti (di Brema) il debito pubblico, che se emesso in moneta sovrana non è da rimborsare, è una calamità, mentre il debito privato, che è da restituire, è cosa buona e giusta. Mistero della fede.
Ora avete l’armamentario minimo per capire che stanno cercando in tutti i modi di impoverirci e di indebitarci, sta a voi credere o meno che lo facciano per il nostro bene.
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