C’è un libro di Leonardo Sciascia, “Nero su Nero”, uscito nel 1979 e recentemente riproposto da Adelphi, che nelle sue ultime pagine contiene un annuncio clamoroso:
“Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi, sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero soltanto a destra, e perciò l’evento non ha trovato registrazione. Tra non molto, forse, saremo costretti a celebrarne l’Epifania”.
Naturalmente è sempre stato facile (e lo è anche oggi) individuare, mettere all’indice e fustigare il cretino di destra, di centro o il cretino generico e apolitico. Ma quello di sinistra no. Tuttora si fa fatica a trovare segnalazioni delle sue gesta nelle narrazioni ufficiali del nostro tempo che sono i giornali.
Lo scrittore siciliano – pur avendo un rapporto di prossimità con la Sinistra – aveva notificato l’evento epocale della sua nascita sperando se ne seguissero le imprese, ma sapeva che sarebbe stato deluso.
Lui del resto aveva un interesse speciale per i cretini di ogni tipo. E proprio in quel libro aveva colto una svolta antropologica, lamentando il fatto che non ci sono più i cretini di una volta.
S’imponevano nuove tipologie di stupidità umana: “È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia cretino… e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto tutte le volte ci assalgono che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa. Come l’olio e il vino dei contadini”.
Quello zibaldone di pensieri e di considerazioni letterarie che è “Nero su nero”, fra gustose pagine dedicate a Pirandello, Tolstoj, Tomasi di Lampedusa, Stendhal, alla Sicilia e alla Toscana, contiene, disseminati qua e là, formidabili frammenti di una “fenomenologia del cretino”.
Qualche perla. “Mark Twain diceva che ‘ogni minuto nasce un imbecille, tutto sta nel saperlo trovare’ ”; “L’imbecillità è molto più complicata dell’intelligenza”; “Dei cretini intelligentissimi. Sembra impossibile: ma ce ne sono”.
Spunti che fanno intravedere l’abbozzo di un divertente “Bouvard e Pécuchet” che lo scrittore siciliano avrebbe potuto scrivere. Ma forse a Sciascia mancò la perfida misantropia di Flaubert per mettere ferocemente in scena degli “idiots savants” e darci un affresco della generale stupidità del suo tempo.
Resta però l’intuizione dell’avvento di nuove forme di stupidità informata e colta, intuizione che sembra quasi profetica visto che oggi i media vedono tale stupidità dispiegata pienamente grazie all’avvento di Internet e dei Social. C’è del vero naturalmente. Ma siamo sicuri che proprio i media non ne siano un palcoscenico ancor più raffinato e salottiero?
In effetti Bouvard e Pécuchet sembrano precorrere i tempi dei “leoni da tastiera” ed è divertente immaginare cosa avrebbe potuto scrivere Flaubert dell’epoca di Google, ma i media non sono un teatro élitario e colto della stupidità del nostro tempo? Lasciamo ai posteri l’ardua sentenza.
Sarebbe interessante sapere cosa ne direbbe oggi Sciascia e come, lui che ne annunciò la nascita, racconterebbe l’evoluzione del “cretino di sinistra” negli anni in cui – scomparso il comunismo – imperversa nel mondo il conformismo “politically correct”.
Lo scrittore siciliano visse gli anni Sessanta e Settanta e – pur avendo un personale rapporto con la Sinistra – avvertì allora che “una nuova formidabile ondata di conformismo sta per abbattersi sul nostro paese (…) tanto più grave nella misura in cui è spontanea, non mossa dalla preoccupazione del pane quotidiano…. tra la gente di buon senso non si trova più uno disposto a dichiararsi anticomunista”. Anzi “non si trova più uno che non abbia simpatia per i comunisti, che non abbia in loro fiducia, che non speri vadano finalmente al governo e presto”.
Era un conformismo che impediva di vedere perfino l’evidenza. Sciascia ricorda quando si trovò a sostenere “che le Brigate Rosse erano rosse – e non nere come tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale desideravano che fossero, volevano”.
E si chiede: “Possibile che in un paese in cui tanta carta stampata quotidianamente si muove, tante analisi si fanno e tanti ingegni vi si provano… possibile che io sia stato il solo, l’unico, ad arrivare a una così semplice verità?”.
Ironizzando un giorno su un manifesto del Pci che si diceva di lotta e di governo fu aspramente ripreso da un militante che “dandomi quasi dell’ignorante” spiegò che “in Polonia, il Partito Comunista appunto lottagoverna: com’è che non me ne rendo conto? Sono rimasto talmente allibito, o forse addirittura sconvolto, che credo di non aver saputo dargli una risposta, almeno nella forma, persuasiva”.
In un altro intervento di quegli anni Sciascia notò: “Il guaio della sinistra in Italia è di aver seminato una doppia morale: una cosa è giusta se è fatta da un uomo di sinistra o da un gruppo o da un partito di sinistra; sbagliata se fatta da un uomo di destra”.
In “Nero su nero” lo scrittore torna sull’argomento e spiega: “a me, uomo di sinistra, è permesso, è lecito, è da approvare quel che non è permesso, è illecito, è riprovevole a un uomo di destra. Pericolosissimo principio, se si considera la facilità, e a volte la comodità, con cui si può essere uomo di sinistra, oggi”.
Un altro flash sull’epoca del conformismo di sinistra: “Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere… è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è”. Poi cita il caso di “una ragazza molto rivoluzionaria che ha sposato un uomo molto ricco” e che diceva di Dubček: “Era un fascista”.
Non è detto che oggi siamo tanto lontani da questo clima. Però non abbiamo più grandi voci libere come Sciascia.
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Antonio Socci
Da “Libero”, 20 agosto 2018
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