Chissà se Francesco, il Papa degli ultimi, si è mai ritrovato tra le mani il curriculum vitae di Ruth Metzler, la donna che da due anni guida la fondazione della Pontificia Guardia Svizzera in Vaticano. Di certo Jorge Mario Bergoglio ignora uno degli ultimi incarichi di Madame Metzler, donna multidisciplinare, capace di passare dal ruolo di ministro della Giustizia e della polizia svizzera a quello ben più privato di presidente del comitato consultivo della Ors, la multinazionale sbarcata in Sardegna per far soldi senza troppi convenevoli dalla gestione dei migranti. Business, senza se e senza ma, l'esatto contrario di quanto professato dal Santo Padre. Il comitato, nato come garante della scalata privata della Ors alla gestione dei migranti, con l'esplicito intento imperialista per la conquista del Mediterraneo, è il fiocco scintillante sull'operazione da mani sull'emigrazione. La storia di Ors, però, ora dopo ora, assume i connotati di un vero e proprio intrigo internazionale, secretato nelle rive del lago di Zurigo e in quelle del Tamigi.
Missione Sardegna
Lo sbarco in Italia ha una data: 8 gennaio 2020, giorno in cui la società diventa, di punto in bianco, attiva alla Camera di Commercio di Roma, come se la divina provvidenza gli avesse suggerito di tenersi pronta. Il progetto è chiaro: missione Sardegna. Gli bastano pochi mesi di attività per spazzolare tutto quello che c'era disponibile nell'Isola. In sordina conquista la gestione del Centro Rimpatri di Macomer e ai primi di marzo fa il colpaccio, a trattativa privata, sino alla definizione dell'appalto, con l'affidamento provvisorio del ghetto di Monastir. Rase al suolo le concorrenti, quasi tutte siciliane, che da sempre si erano spartite la torta infinita dell'accoglienza. Nell'oasi di Monastir, fattasi lager, non passa giorno senza una guerriglia annunciata. Polizia e carabinieri in perenne tenuta antisommossa come se in quell'enclave di criminalità e Covid latente non ci fosse un responsabile. Ors Italia, accampata in quel lager a gestire un appalto da tre milioni di euro in due anni, è silente. In prima linea tanto ci sono gli uomini e le donne dei blindati schierati in assetto permanente da guerriglia urbana, l'ennesima, sempre pronta ad esplodere.
200 giorni per l'antimafia
Un'assegnazione provvisoria quella della prefettura, visto che gli stessi organismi del braccio dello Stato in terra sarda non hanno ancora messo nero su bianco il certificato antimafia, indispensabile per cifre di questa portata. Un dato è eloquente: dopo 200 giorni lo Stato non ha ancora dato il via libera a quel certificato. Ritardi cronici, Covid burocratico o cos'altro? È evidente che affidare per la terza volta con proroga, in scadenza a fine mese, un appalto di questa portata non è roba di poco conto. Serve non poca freddezza per assumersi onori e soprattutto oneri. A Monastir il business, intanto, non si ferma.
Totalizzatore
Il totalizzatore degli introiti è in continuo aggiornamento: ieri i migranti, quasi tutti algerini, erano 183, poi, in mattinata, 25 li hanno dirottati in una struttura di Capoterra, tenuta coperta dai sigilli di segretezza. Altri 11 sono arrivati in serata. Alla conta finale delle 20 erano 169. È possibile, ma non è confermato, che i 25 dell'Alan Kurdi, quelli destinati all'Italia, vengano fatti scendere ad Olbia e poi trasferiti a Monastir, giusto per non ridurre il capitale migratorio nel quartier generale della multinazionale svizzera. Del resto stando alle parole della signora Ruth, la presidente del comitato consultivo, «la Ors è sinonimo di assistenza e alloggio professionale e umano per richiedenti asilo e rifugiati». Peccato che non abbia avuto il tempo di visionare le immagini che abbiamo proposto nel nostro giornale, forse, avrebbe evitato di spendere quelle impegnative parole per un ghetto infausto alle porte di Cagliari. Se per alloggio professionale si intende quel tugurio di sbarre e quei cumuli di puzzolente gomma piuma vuol dire che il business sta sconfinando in altro. Un dato, però, emerge inequivocabile aprendo gli scrigni di questa Ors, sede a Zurigo, in un sobborgo periferico, senza pregio e senza nemmeno una modesta targa di facciata. Sono due gli intrecci gestionali di questa società. Ci sono i piani alti e quelli comunali. Per i piani alti Juerg Benno Roetheli ha scomodato prime donne e primi uomini.
Madame Metzler
L'operazione sbarco nel Mediterraneo ha messo nero su bianco nomi e cognomi altisonanti. Tutti personaggi di primo piano che urlano contro immigrazione e invasione salvo, poi, diventare i paladini di una società che proprio dai migranti vuol far soldi, a palate. Pronti ad erigere muri nelle loro patrie, altrettanto protesi a costruire ponti per lo sbarco in Sardegna e non solo. Madame Metzler nell'impresa di sponsorizzazione non è rimasta sola. Al suo fianco nel comitato della Ors, quella che gestisce Monastir e Macomer, ci sono Rita Fuhrer, già ministro degli Affari sociali e della Sicurezza del Canton di Zurigo, così come Erwin Jutzet già membro del governo di Friburgo con delega alla Sicurezza e Giustizia, sino al vice cancelliere austriaco e ministro degli Affari esteri dell'Austria Michael Spindelegger. Quelli che fanno i muri a casa loro ora indicano la strategia: privatizzare la gestione e affidarsi a Ors. La società non si fa pregare e per guadagnare a piene mani dai migranti apre il fronte italico con lo sbarco in Sardegna e dintorni. Dal proscenio internazionale dei sostenitori della multinazionale a quello dietro casa, tra Roma e Avellino. È questo il secondo filone societario della Ors Italia, la compagine destinata a conquistare il governo degli imbarcati dal nord Africa verso la Sardegna.
Il filone Avellino
Il manager svizzero Jurge Roetheli, a capo della multinazionale del business sui migranti, non si fida di nessuno e anche per l'operazione sardo italiana non lascia spazio a incursioni esterne. Si autonomina presidente del Consiglio di amministrazione ma al suo fianco mette due uomini di stretta osservanza campana, i due Reppucci, Maurizio, nominato amministratore delegato e Antonio, già sindaco del paese di Chiusano di San Domenico, duemila anime nell'enclave di Avellino. Nella sede di Piazza Annibaliano a Roma, davanti ad un cassonetto, al numero 18, il palazzo è un crocevia di decine e decine di società, tutte nello stesso ufficio. Nessuna targa esterna per una multinazionale che per costituirsi non ha scelto le vie del centro della Capitale. Dopo la chiusura nazionale della gestione comunale dell'accoglienza, messa in campo con i decreti cosiddetti Sicurezza, si sono aperte le praterie allo sbarco senza guanti delle multinazionali nella gestione dei centri di accoglienza e rimpatrio. La Sardegna, tra Macomer e Monastir, è la prima a toccarne con mano le conseguenze.
Retromarcia austriaca
Prima dei due centri sardi lo hanno, però, provato in Austria che, dinanzi allo sbarco della Ors, benedetto dall'ex vice Cancelliere, ha deciso di cambiare radicalmente rotta: gestione pubblica del fenomeno migratorio. Il ragionamento d'oltralpe è stato chiaro: i privati hanno tutto l'interesse a ridurre i servizi per favorire il guadagno. Da qui la nascita dell'agenzia pubblica per l'assistenza ai rifugiati. Il quotidiano USA Today ha paragonato la gestione dei centri di accoglienza in Europa alla logica delle carceri private statunitensi, basata sul principio del taglio dei costi e della massimizzazione del profitto. Nel sistema privato, fanno rilevare, ci sono prestazioni inadeguate, pagate care e ridotte nei servizi ai minimi termini. Dalle visite mediche al cibo, dalla qualità degli alloggi all'assistenza. Nel lager di Monastir il business dei migranti è appena agli inizi. Manca il certificato antimafia e tra cinque giorni scade il contratto provvisorio e d'urgenza con gli svizzeri della Ors. Il caos regna sovrano e i denari scorrono a fiumi. Il triangolo Zurigo, Avellino e Monastir è solo la punta di un iceberg, quello degli affari sui migranti.
Missione Sardegna
Lo sbarco in Italia ha una data: 8 gennaio 2020, giorno in cui la società diventa, di punto in bianco, attiva alla Camera di Commercio di Roma, come se la divina provvidenza gli avesse suggerito di tenersi pronta. Il progetto è chiaro: missione Sardegna. Gli bastano pochi mesi di attività per spazzolare tutto quello che c'era disponibile nell'Isola. In sordina conquista la gestione del Centro Rimpatri di Macomer e ai primi di marzo fa il colpaccio, a trattativa privata, sino alla definizione dell'appalto, con l'affidamento provvisorio del ghetto di Monastir. Rase al suolo le concorrenti, quasi tutte siciliane, che da sempre si erano spartite la torta infinita dell'accoglienza. Nell'oasi di Monastir, fattasi lager, non passa giorno senza una guerriglia annunciata. Polizia e carabinieri in perenne tenuta antisommossa come se in quell'enclave di criminalità e Covid latente non ci fosse un responsabile. Ors Italia, accampata in quel lager a gestire un appalto da tre milioni di euro in due anni, è silente. In prima linea tanto ci sono gli uomini e le donne dei blindati schierati in assetto permanente da guerriglia urbana, l'ennesima, sempre pronta ad esplodere.
200 giorni per l'antimafia
Un'assegnazione provvisoria quella della prefettura, visto che gli stessi organismi del braccio dello Stato in terra sarda non hanno ancora messo nero su bianco il certificato antimafia, indispensabile per cifre di questa portata. Un dato è eloquente: dopo 200 giorni lo Stato non ha ancora dato il via libera a quel certificato. Ritardi cronici, Covid burocratico o cos'altro? È evidente che affidare per la terza volta con proroga, in scadenza a fine mese, un appalto di questa portata non è roba di poco conto. Serve non poca freddezza per assumersi onori e soprattutto oneri. A Monastir il business, intanto, non si ferma.
Totalizzatore
Il totalizzatore degli introiti è in continuo aggiornamento: ieri i migranti, quasi tutti algerini, erano 183, poi, in mattinata, 25 li hanno dirottati in una struttura di Capoterra, tenuta coperta dai sigilli di segretezza. Altri 11 sono arrivati in serata. Alla conta finale delle 20 erano 169. È possibile, ma non è confermato, che i 25 dell'Alan Kurdi, quelli destinati all'Italia, vengano fatti scendere ad Olbia e poi trasferiti a Monastir, giusto per non ridurre il capitale migratorio nel quartier generale della multinazionale svizzera. Del resto stando alle parole della signora Ruth, la presidente del comitato consultivo, «la Ors è sinonimo di assistenza e alloggio professionale e umano per richiedenti asilo e rifugiati». Peccato che non abbia avuto il tempo di visionare le immagini che abbiamo proposto nel nostro giornale, forse, avrebbe evitato di spendere quelle impegnative parole per un ghetto infausto alle porte di Cagliari. Se per alloggio professionale si intende quel tugurio di sbarre e quei cumuli di puzzolente gomma piuma vuol dire che il business sta sconfinando in altro. Un dato, però, emerge inequivocabile aprendo gli scrigni di questa Ors, sede a Zurigo, in un sobborgo periferico, senza pregio e senza nemmeno una modesta targa di facciata. Sono due gli intrecci gestionali di questa società. Ci sono i piani alti e quelli comunali. Per i piani alti Juerg Benno Roetheli ha scomodato prime donne e primi uomini.
Madame Metzler
L'operazione sbarco nel Mediterraneo ha messo nero su bianco nomi e cognomi altisonanti. Tutti personaggi di primo piano che urlano contro immigrazione e invasione salvo, poi, diventare i paladini di una società che proprio dai migranti vuol far soldi, a palate. Pronti ad erigere muri nelle loro patrie, altrettanto protesi a costruire ponti per lo sbarco in Sardegna e non solo. Madame Metzler nell'impresa di sponsorizzazione non è rimasta sola. Al suo fianco nel comitato della Ors, quella che gestisce Monastir e Macomer, ci sono Rita Fuhrer, già ministro degli Affari sociali e della Sicurezza del Canton di Zurigo, così come Erwin Jutzet già membro del governo di Friburgo con delega alla Sicurezza e Giustizia, sino al vice cancelliere austriaco e ministro degli Affari esteri dell'Austria Michael Spindelegger. Quelli che fanno i muri a casa loro ora indicano la strategia: privatizzare la gestione e affidarsi a Ors. La società non si fa pregare e per guadagnare a piene mani dai migranti apre il fronte italico con lo sbarco in Sardegna e dintorni. Dal proscenio internazionale dei sostenitori della multinazionale a quello dietro casa, tra Roma e Avellino. È questo il secondo filone societario della Ors Italia, la compagine destinata a conquistare il governo degli imbarcati dal nord Africa verso la Sardegna.
Il filone Avellino
Il manager svizzero Jurge Roetheli, a capo della multinazionale del business sui migranti, non si fida di nessuno e anche per l'operazione sardo italiana non lascia spazio a incursioni esterne. Si autonomina presidente del Consiglio di amministrazione ma al suo fianco mette due uomini di stretta osservanza campana, i due Reppucci, Maurizio, nominato amministratore delegato e Antonio, già sindaco del paese di Chiusano di San Domenico, duemila anime nell'enclave di Avellino. Nella sede di Piazza Annibaliano a Roma, davanti ad un cassonetto, al numero 18, il palazzo è un crocevia di decine e decine di società, tutte nello stesso ufficio. Nessuna targa esterna per una multinazionale che per costituirsi non ha scelto le vie del centro della Capitale. Dopo la chiusura nazionale della gestione comunale dell'accoglienza, messa in campo con i decreti cosiddetti Sicurezza, si sono aperte le praterie allo sbarco senza guanti delle multinazionali nella gestione dei centri di accoglienza e rimpatrio. La Sardegna, tra Macomer e Monastir, è la prima a toccarne con mano le conseguenze.
Retromarcia austriaca
Prima dei due centri sardi lo hanno, però, provato in Austria che, dinanzi allo sbarco della Ors, benedetto dall'ex vice Cancelliere, ha deciso di cambiare radicalmente rotta: gestione pubblica del fenomeno migratorio. Il ragionamento d'oltralpe è stato chiaro: i privati hanno tutto l'interesse a ridurre i servizi per favorire il guadagno. Da qui la nascita dell'agenzia pubblica per l'assistenza ai rifugiati. Il quotidiano USA Today ha paragonato la gestione dei centri di accoglienza in Europa alla logica delle carceri private statunitensi, basata sul principio del taglio dei costi e della massimizzazione del profitto. Nel sistema privato, fanno rilevare, ci sono prestazioni inadeguate, pagate care e ridotte nei servizi ai minimi termini. Dalle visite mediche al cibo, dalla qualità degli alloggi all'assistenza. Nel lager di Monastir il business dei migranti è appena agli inizi. Manca il certificato antimafia e tra cinque giorni scade il contratto provvisorio e d'urgenza con gli svizzeri della Ors. Il caos regna sovrano e i denari scorrono a fiumi. Il triangolo Zurigo, Avellino e Monastir è solo la punta di un iceberg, quello degli affari sui migranti.