Antonio Socci
Sa Defenza
A più di un anno dalla batosta elettorale – con la velocità del bradipo – ieri il Pd ha eletto il nuovo segretario. E’ Nicola Zingaretti, colui che ha vinto le primarie.
Il primo motivo per cui è stato scelto lui è psicologico: la sua bonomia, la sua faccia da allegro salumiere. Com’è noto il Pd è da sempre profondamente antipatico. Il sociologo (di area) Luca Ricolfi ci aveva addirittura scritto un libro: “Perché siamo antipatici”. E’ un problema atavico, dovuto alla spocchia della Sinistra, al suo senso di superiorità e a quel suo sottile disprezzo per chi ha idee e valori diversi e per il popolo che pensa con la propria testa “populista”. Sembrò che Renzi – da toscano – potesse traghettare il Pd verso l’affabilità. Era giovane e aperto, non più settario come la vecchia Sinistra. Ma poi Renzi stesso diventò, per il sentimento popolare, simpatico come un riccio di mare nelle mutande. Ecco dunque Zingaretti che ora ha la missione di tornare a sintonizzarsi con “la gente” e ci prova con la bonomia sorridente e sempliciona del gestore del negozio di alimentari sotto casa che – quando ti mancano gli spiccioli – ti rassicura: “non c’è problema, ci rifacciamo la prossima volta”. Andrea Scanzi lo ha dipinto così: “Te lo immagini proprio dietro il banco, col cappellino del Vitiano e le unghie un po’ sporche di migliaccio. Saresti portato a chiedergli al massimo tre etti di finocchiona, va da sé tagliata a mano, e invece da lui esigono l’impossibile. Come fosse un Che Guevara sotto mentite spoglie, in grado financo di ridestare un partito catatonico”. Infatti lo vedi arrancare in ragionamenti che – in tutta sincerità – rasentano la supercazzola. Tipo questo sentito ieri: “A questo punto dobbiamo muoverci e metterci in cammino, tutto quello che succede intorno a noi ce lo dice… dobbiamo muoverci, insieme: con spirito innovativo, con un partito inclusivo. Dobbiamo rimettere al centro la persona umana” Un vecchio leader del Pci come Paolo Bufalini diceva: “C’è una cosa peggiore del perdere le elezioni ed è non sapere perché si sono perse”. In effetti nella narrazione di Zingaretti non c’è traccia di riflessione autocritica sulle vere ragioni che hanno portato al tracollo del Pd. Che sono due: l’enorme e incontrollato afflusso migratorio degli ultimi anni e il dramma economico e sociale rappresentato – per l’Italia – dall’euro e dalle politiche dell’Unione europea. Zingaretti non ha rivendicato nemmeno quello che di positivo, sull’emigrazione, cominciò a fare Minniti (come resipiscenza tardiva e parziale del Pd). Sono tornati al “migrazionismo” tipico della Sinistra. D’altronde Il nuovo segretario naviga in mezzo alle contraddizioni. Come primo gesto dopo la vittoria delle primarie ha fatto visita a Chiamparino, a Torino, in appoggio alla battaglia pro Tav. Subito dopo si è messo ad applaudire Greta, addirittura dedicandole la vittoria per mettere il cappello sulla manifestazione ecologista. Come stiano insieme la Tav e l’ecologismo non si sa. Sembra il “ma anche” veltroniano immortalato da Crozza. Pure sulla “via della seta” – che nell’attuale governo viene caldeggiata soprattutto dal M5S – la contraddizione è stridente. Non solo perché la Cina è pur sempre un regime comunista ed è criticata dagli Stati Uniti, ma anche perché a iniziare il dialogo con Pechino furono altri. Consideriamo il premier Gentiloni. Titolo del “Sole 24 ore” del 14 maggio 2017: “Gentiloni in Cina: ‘L’Italia può essere protagonista della nuova Via della seta’ ”. A proposito: Gentiloni ieri è stato eletto presidente del Pd. Anna Ascani e Deborah Serracchiani sono diventate vicepresidenti. Nel Pd si passa con estrema facilità da Veltroni a Bersani, poi a Renzi e poi a Zingaretti. Sembra che tutto si rivoluzioni e invece non cambia mai niente e anche le persone sono sempre quelle. Cambiano solo di posto. Un po’ come la storiella del “facite ammuina” attribuita alla marina borbonica: “All’ordine Facite Ammuina: tutti chilli che stanno a prora vann’ a poppa e chilli che stann’ a poppa vann’ a prora; chilli che stann’ a dritta vann’ a sinistra e chilli che stanno a sinistra vann’ a dritta…”. L’obiettivo di Zingaretti è minimo: guadagnare qualche punto percentuale alle europee rispetto alle politiche del 2018 per sopravvivere. Del resto nelle sue parole si sono perse le tracce della “vocazione maggioritaria” del Pd di Veltroni, come pure è naufragata quell’iniziale tentazione attribuita al nuovo segretario che consisteva nel propiziare una crisi di governo per sostituire la Lega in una nuova maggioranza con il M5S. Sembra proprio che il Quirinale non voglia saperne. Che futuro può avere un Pd che torna ad abbracciare il “rosso antico” ? Beppe Fioroni, che nel Pd non è stato un passante, prima delle primarie aveva messo in guardia dall’elezione di Zingaretti il quale – a suo parere – “mira semplicemente a restaurare la sinistra. Non posso nascondere l’allarme che provoca un’impostazione del tutto incoerente con la genesi ideale del Pd. Anche i cosiddetti moderati, una volta considerati interni alla vicenda di un partito insieme di sinistra e di centro, ora sono individuati come interlocutori esterni, con i quali al più dialogare a distanza. Dunque, siamo a un cambio radicale di motivazioni e prospettive”. Fioroni concludeva: “Non vorrei che fosse sottovalutato il rischio di una possibile degenerazione, con il ritorno baldanzoso e inconcludente sotto la vecchia tenda della sinistra. Quella di una volta”.
Se lo dice lui…
Antonio Socci
Da “Libero”, 19 marzo 2019
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