mercoledì 6 marzo 2024

Sulcis, scatta il “cappio” elettrico del litio cinese. Inizia una nuova era di “dipendenza” energetica per la Sardegna: il piano prevede un’Isola a “scartamento” ridotto

La distesa di batterie al litio che sta sorgendo alle spalle della centrale Enel di Portovesme (L'Unione Sarda)
Mauro Pili

Sulcis, scatta il “cappio” elettrico del litio cinese. Inizia una nuova era di “dipendenza” energetica per la Sardegna: il piano prevede un’Isola a “scartamento” ridotto

 
Sono andate a prenderle dall’altra parte del mondo. Ningde, estrema Cina nord orientale, davanti a Taiwan, nella cartina dell’impero di Mao Tse-Tung è riversa nella riva del Fujian, provincia all’avanguardia green nella famigerata Repubblica popolare cinese. Per sbarcare nella landa desolata del Sulcis, fabbriche chiuse o perennemente semiaperte, hanno attraversato oceani di mezzo mondo, superando intemperie e guerre, divieti e sanzioni.

Dalla Cina alla Carlo Felice

Non gli bastavano i teorici diecimila chilometri in linea d’aria, e quasi il triplo via mare, per raggiungere quel pezzo di terra nascosto tra macerie industriali ed elettriche nell’enclave di Portovesme. Per far arrivare quella carovana di container verde-militare hanno scelto persino il calvario della Carlo Felice, da Porto Torres sino all’estremo sud dell’Isola. Da settimane la segnalazione, fotografata e circostanziata, correva nei whatsapp dei frequentatori abitudinari di quella lingua d’asfalto che attraversa la Sardegna da nord a sud. Il messaggio è criptico proprio per via di quell’oggetto sconosciuto ai più, trasportato su ruote motrici, con tanto di timer e termometro nel posteriore, con simboli e geroglifici indecifrabili.

Anno del Drago

Per la Cina di Xi Jinping il 2024 è l’anno del Drago, per il Sulcis quello del cinghiale a fine gennaio, giornata di chiusura della caccia, ovvero della capitolazione. Finisce un’era, quella della produzione industriale ed elettrica, è la resa senza resistenza alla dipendenza energetica cinese. Dalla centrale termoelettrica dedicata a Grazia Deledda, che nella storia ha alimentato più di mezza Sardegna, alle batterie cinesi il passo è breve, subdolo e vigliacco. Spacciato come green, inesorabile e moderno, per diventare il nuovo “cappio” al collo dell’Isola intera.

Rifugium peccatorum

Per scoprire dove finiscono quelle “casse” sconosciute bisogna lasciare da parte le strade principali del reticolo industriale di Portovesme. La scelta del “rifugium peccatorum” è nelle retrovie, lontano da occhi indiscreti e ficcanaso, tra l’archeologia industriale della vecchia centrale, ridotta a ferrovecchio e mai bonificata, e i segni cadenti di quella “nuova” ma comunque cadente a pezzi già da tempo. È lì, tra la “febbricitante” “Portovesme srl” e l’effige sbiadita dell’Enel, l’ente di Stato nato nei primi anni Sessanta per nazionalizzare l’energia elettrica, per dare luce e forza motrice anche alle aree povere del Paese, che hanno deciso di posizionare l’ecatombe energetica della Sardegna. Il piazzale trasformato in un campo di calcio è sotto la quota stradale, incurante di dislivelli e corsi d’acqua, di rischio idrogeologico e allagamenti.

Tutto è concesso

Del resto in questa terra di nessuno, da sempre si può fare quel che si vuole, dall’inquinare all’interrare rifiuti, figuriamoci se qualcuno si è posto il problema per quella montagna di litio che si sta posizionando in quello che fu il cuore industriale del Sulcis. Nemmeno un cartello sul fronte strada: affari nostri sembra dire il colosso che sta riempiendo quell’area di container strapieni di litio, il minerale che renderà la Sardegna per sempre schiava della Cina e non solo, rendendola perennemente sotto schiaffo internazionale. L’unico modo per scoprire quel che sta avvenendo in quel cimitero energetico è quello di affidarsi ad un “gabbiano d’acciaio”, capace di impressionare ogni dettaglio di quello sbarco cinese in terra sarda. Il volo è radente, sino a leggere i vergati cinesi impressi in quelle pareti d’acciaio arrivate sin qui dalla lontana provincia cinese del Fujian. Basterebbe quel riferimento geografico per capire la “rivoluzione al contrario” che si sta consumando in quel fazzoletto di polvere e inquinamento a ridosso di quella centrale pronta al distacco dalla vita terrena, per raggiungere la consorteria industriale dismessa senza colpo ferire, incurante di impatto sociale ed economico, ambientale e sanitario.

I nipotini di Mao

Lo si capisce al volo, quando il velivolo traccia una rotta diagonale su quel deserto industriale: chiuderanno l’ultimo baluardo elettrico della Sardegna, licenziando lavoratori e perdendo professionalità decisive, per affidarsi ai “nipotini” di Mao Tse-Tung, alle loro batterie da caricare a suon di pale eoliche e distese infinite di pannelli fotovoltaici. Se poi la Cina deciderà di alzare il prezzo, se i conflitti internazionali segneranno irrimediabilmente il nuovo mondo, economico e finanziario, pazienza, tanto a restare “attaccata” alle batterie è solo la Sardegna. Ovunque l’Enel sta riconvertendo le sue centrali, anche quelle a carbone, a gas e metano. Nell’Isola dei Nuraghi, invece, dopo che hanno fatto chiudere industrie e cancellato posti di lavoro a suon di energia a prezzi stellari, come ha più volte messo nero su bianco la stessa Unione Europea, si accingono a pianificare l’era delle batterie cinesi. Il Sulcis è la rappresentazione più evidente di questa nuova dipendenza conseguenza scellerata di quel “decreto-omicida” del Governo Draghi che a marzo del 2021 ha deciso, senza ritorno, di trasformare la Sardegna in una colonia energetica italiana.

Montagna di litio

Per intercettare l’inizio lavori e la loro fine bisogna addentrarsi tra canneti e sbarre di ferro consunto. Il cartello è a favore del niente, come se si dovesse nascondere a chiunque quella distesa di litio che l’Enel ha deciso di “piantumare” nei terreni rimasti liberi dall’industrializzazione di Stato. Il titolo impressionato dal volo radente è esaustivo: «Realizzazione di un sistema di accumulo elettrochimico Bess» per una potenza di 122 megawatt. Inizio lavori il 27 dicembre 2023, fine prevista il 31 dicembre 2024. L’operazione ha un costo dichiarato di 23,8 milioni di euro.

Indirizzo: ex Centrale

L’indirizzo dell’opera riportato nel cartello di cantiere è fin troppo esplicito: «Ex Centrale di Portoscuso». Il titolo autorizzativo è tutto un programma: «provvedimento unico n.215 del 4 aprile 2022». Nessuna procedura di Valutazione d’Impatto Ambientale, visto che le norme lasciano libero arbitrio alle società che vogliono realizzare questo tipo di centrali. Agli atti c’è solo un’intesa con la Regione sarda che da una parte faceva finta di sbraitare contro il decreto Draghi e poi, invece, il 27 gennaio del 2023 dava l’assenso al piano del litio cinese per la centrale sulcitana. Non un chilo di litio, ma una montagna: in quel piazzale sono attesi la bellezza di 140 cabinati, ne sono arrivati appena 36, con un potenziale di 36 mila kg ciascuno come recita la portata massima dei container. Esclusi il peso del contenitore e i volumi tecnici, si potrebbe arrivare ad azzardare che in quel piazzale potrebbero arrivare non meno di due milioni di chili di litio.

Silenzio, c’è la Cina in casa

Tutto nel silenzio assoluto, sia per il nuovo "cappio” energetico che si sta stringendo intorno alla Sardegna, ma anche sulla nuova dipendenza cinese in terra sarda. L’unico “accumulatore” energetico di vento e sole, che avrebbe reso l’Isola totalmente indipendente, l’idrogeno, è stato ignorato e boicottato proprio per favorire lobby e affari delle grandi multinazionali. La storia del litio cinese, quello che sta sbarcando in terra sarda, però, è già un caso internazionale, con spy story, inchieste di livello mondiale e infiniti segreti.

(1.continua)

Mauro Pili

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