martedì 9 agosto 2022

Giochi di prestigio


 




Ho incontrato un prestigiatore.
Ogni giorno incontro un prestigiatore, mi fa vedere le carte, mi chiede di sceglierne una e di rimetterla nel mazzo, e poi mi mostra esattamente quella carta. 
Ho il sospetto che la carta la abbia scelta lui, e non io.
Nella stessa maniera come fanno le oligarchie, ti fanno credere che a decidere sei tu, ma nella realtà decidono tutto loro.
Oggi ho incontrato un prestigiatore.
E' spagnolo.
Si, lo so, oggi come oggi vanno di moda gli ucraini, ma non posso dire che lui è ucraino se è spagnolo, di Madrid.
Mi ha detto che le parole sono come il coniglio che esce dal cilindro magico.
Con la mano sinistra estrae il coniglio, con la destra cattura la tua attenzione.
Quando ho associato il suo nome, Joaquin, al termine prestigiatore, mi ha ripreso.
"Io sono un illusionista, impara a dare il giusto significato alle parole."
E' un artista di strada, ha girato il mondo in lungo e in largo, con la sua donna Carmen, e col suo incredibile furgone che chiamano Esteban.
Ci sta di tutto, incredibile, una altra sua illusione.
Dice spesso: "Prima pensa, poi realizza, se pensi difficile, realizzerai cose difficili, uniche".
Certe volte non lo capisco, e giochi di prestigio non ne so fare.
Ma lui si.
Mi raccontò che all'età di cinque anni subì una sorta di karma, ma lui preferisce usare il termine dono non preventivato.
Si trovava, con suo padre, al museo madrileno del Prado, di fronte a un dipinto del pittore fiammingo Jeronymus Bosch, intitolato il carro del fieno.
Vedetelo, magari dal vivo, non ve ne pentirete.
Un dipinto dalla forza evocativa sublime.
Non sa esattamente se svenne al cospetto della forza espressiva di quell'opera d'arte, che lui reputa essere la più significativa che l'umanità abbia mai realizzato.
Quando si riprese da quel torpore indotto, si accorse di essere una persona completamente diversa, aveva nel frattempo ricevuto un dono.
Oggi, non sopporta certi termini che uso, mi riprende continuamente, mi dice che le parole sono la risultanza dei pensieri, e se io uso un termine, anche imposto da chissachì, automaticamente penso che sia corretto.
Quindi, continua, se io uso un termine che non mi appartiene, ma che mi è stato inculcato dalla cultura dominante, in quel momento sto ragionando come vogliono che ragioni.
Mi fa l'esempio della parola razzismo.
Se si usa quella parola vuol dire che il razzismo esiste, che non è una invenzione.
E invece no, è una costruzione dialettica, una illusione, un plagio mentale, che a furia di venire pronunciata diventa reale, e nel sentire comune lo è.
Ma non esiste che la gente sia razzista, perchè non lo è, è un macroscopico plagio.
Mi fa l'esempio di una parola persino troppo diffusa nella mia terra: indipendentismo, mi invita diffidare dalle parole che terminano con "ismo", non sono parole che appartengono alla gente, sono termini inventati dalle elite culturali dominanti per sottometterci dividendoci.
Mi chiede di esprimere un termine antico sardo che evochi quel tipo di parola, devo ammettere che non lo ho trovato, non esiste.
Obietto che ormai è una parola talmente diffusa tra la mia gente, che è diventata "nostra".
Mi dice che sono un inguaribile condizionato, che usando quel termine, il cervello innesca processi istintivi che portano ad accettarla, accettando il significato intrinseco che evoca : dipendenza.
Noi nasciamo liberi, mi dice, non dipendiamo da nessuno, il potere adotta strategie che mirano ad auto considerarci dipendenti da esso, ma nella parte superficiale della nostra mente esistono tante altre parole, libertà, umanità, religiosità.
Mi consiglia di evitare le parole che terminano con la a accentata e con il suffisso ismi.
Mi indica un passante, che con l'aria preoccupata, con passo svelto, e con una miriade di scartoffie sotto braccio, si dirige verso il municipio, per soddisfare la necessità che ha il potere di condizionarci, di farci perdere il nostro prezioso tempo, e magari di spillarci anche un po' di soldini.
Lui, e la stragrande maggioranza della popolazione, accetta le imposizioni del potere, altra costruzione fittizia, il mondo è sottomesso per questo motivo.
Noi, la gente, riconosciamo i loro mantra, ma non lo dovremmo fare.
Mi spiega che, dopo il contatto con l'opera d'arte custodita al Prado, provò a dipingere, ideò un quadro, prima ne decise la struttura costruttiva, poi usò la matita per delineare le linee essenziali, infine distribuì i colori.
La scrittura, un discorso, un quadro, una immagine mentale, sono simili, nascono da una idea, vengono abbozzate prima nella mente, e poi nella realtà.
La manualità posseduta certificheranno se la realizzazione è esteticamente valida, l'idea iniziale se è comunicativa, la struttura generale se è funzionale allo scopo.
Ma se la mente non è libera di ragionare autonomamente, allora il testo, il quadro, o il discorso non possono essere originali, sono solo scopiazzature.
Ecco cosa fa gente comunemente, scopiazza.
Mi invita a liberare spazi sempre più ampi dalla mia mente, gli spazi attualmente utilizzati dalle informazioni del potere, essi devono essere sgombrati per far posto ai nostri pensieri e ragionamenti che ci vengono dal profondo del nostro intimo, e che hanno inficiato, soppresso, quei processi mnemmonici naturali che madre natura ci ha concesso, e che qualcuno, certo molto furbo, ma che non ci vuole bene, ha invaso.
Riprendiamoci la nostra naturalità, rifiutiamo i loro meccanicismi, sono innaturali e penalizzanti, oltre che complicantizzanti, la semplicità ci è congeniale, torniamo alla filosofia eterna che la civiltà contadina ci ha insegnato, la filosofia più vicina all'umanesimo più puro e genuino.
Loro, la fetenzìa mondialista, senza il nostro lavoro, senza il nostro cibo, senza il nostro ingegno, non saprebbe nemmeno come sfamarsi, come attingere acqua, senza di noi morirebbe in pochi giorni, sparirebbe, evaporerebbe, loro sono il vuoto, noi la concretezza, liberiamocene, liberiamoci dalle loro imposizioni, dalle loro idee, dalla loro logica fasulla, dal loro cibo che ci sta uccidendo, dalle loro medicine, liberiamoci anche dalla loro moneta.
Liberiamo la mente, non sia mai che una volta liberi dalle loro scorie imposte non riusciamo a vedere chiaramente i meccanismi dei loro trucchi.


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